Lo stretching: le due facce della medaglia - La Palestra

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Fitness

Lo stretching: le due facce della medaglia

Prima di adottare lo stretching sempre e comunque è bene porci alcuni quesiti in relazione al nostro obiettivo.

L’obiettivo principale dello stiramento muscolare è il miglioramento e il mantenimento della mobilità articolare, per cui deve essere utilizzato principalmente per questo scopo e con metodiche pratiche che permettano di ottenere questo effetto. È fondamentale che il risultato ottenuto sia a lungo termine ed è per questo che, chi si occupa di consulenza, preparazione atletica o fitness, e consiglia questo tipo di attività, deve farlo finalizzato ad un obiettivo ben specifico in relazione alla persona alla quale viene prescritto.

Le forme dello stretching

Lo stretching viene effettuato e proposto in varie forme: dal classico stretching di Bob Anderson, passando per lo stretching globale attivo e lo stretching balistico utilizzato negli sport di combattimento, finendo con altre tecniche legate anch’esse all’allungamento muscolare quali lo yoga o altre ginnastiche posturali specifiche come PANCAFIT® o Pilates. Tutte queste tecniche sono utilissime per contrastare l’irrigidimento muscolare causato da scorrette posture, da eccessivi carichi muscolari o da croniche posizioni statiche che possono retrarre le catene cinetiche portando a problematiche muscolari e osteoarticolari. Le strutture coinvolte a livello fisiologico nello stretching sono: il tessuto connettivo (tendini, congiunzione osso – tendine, congiunzione muscolo – tendine, elementi elastici in parallelo e strutture muscolari, elementi propriocettivi) e gli elementi elastici del sarcomero (actina, miosina, titina). Sottoponendo a stiramento il sistema tendine-muscolo viene prima di tutto sollecitata la parte muscolare a livello dei ponti actino-miosina e degli elementi elastici del sarcomero, mentre il tessuto connettivo e i tendini sono coinvolti dagli allungamenti di grande ampiezza.

È un dato ormai accertato che lo stretching, in tutte le sue forme, è indispensabile e va quindi praticato e consigliato a tutti, dallo sportivo alla persona sedentaria.

Esso ha rappresentato e rappresenta tutt’ora un progresso per diverse fasi della preparazione atletica ma è giusto chiedersi se le credenze popolari che lo riguardano e gli usuali metodi di applicazione siano sempre confermati da studi scientifici oppure, in qualche caso, ci si debba ricredere su qualche suo utilizzo. Penso che la curiosità e il trovare risposte ai quesiti che possono venirci in mente, mentre seguiamo un atleta o uno sportivo, siano la linfa per far bene il nostro lavoro di consulenza.

Alcuni studi controcorrente

Ora andiamo a vedere, a titolo divulgativo, anche l’altra faccia della medaglia attraverso una serie di studi di ricercatori che osservano in specifico alcune applicazioni dello stretching. Alcuni ricercatori, come Mastèrovoi, motivati da credenze classiche, sostengono che praticare lo stretching prima dell’attività fisica comporta, con l’alternanza di contrazioni concentriche contro resistenza, l’innalzamento della temperatura dei muscoli stirati invece altri autori (Wiemann, Klee) ne hanno dimostrato la scarsa efficacia. Anche Alter, su Science of flexibility, ha dimostrato che gli stiramenti provocano nel muscolo delle tensioni che interrompono l’irrorazione sanguigna, cioè esattamente il contrario dell’effetto voluto e creduto. Secondo alcuni studi scientifici, lo stretching prima dell’attività fisica comporta un miglioramento della performance; al contrario, Shier, in una rewiew del 2004 ha affermato che lo stretching nella fase di riscaldamento influenzerebbe negativamente la prestazione atletica, soprattutto quelle di elevazione e quelle di forza.

È convinzione comune che lo stretching eseguito prima dell’attività fisica prevenga gli infortuni muscolari, ma non sempre è vero.

Infatti, alcuni autori citano i benefici dello stretching prima dell’attività fisica negli sport con stimoli eccentrici perché si può migliorare la viscosità tendinea, oppure nelle attività con ampiezze estreme come la ginnastica artistica o simili. Altri, soprattutto negli sport come la corsa, sostengono che lo stretching non migliori gli esiti di infortuni muscolari. Van Mechelen e coll. in uno studio del 1993 ha esaminato per sedici settimane, su una popolazione di 320 podisti, gli effetti del riscaldamento con esercizi di allungamento e di un lavoro di defaticamento. Il gruppo di controllo che non aveva effettuato il riscaldamento, gli stiramenti e il defaticamento ha subito meno incidenti muscolari rispetto al gruppo sperimentale. Anche Lally ha dimostrato, su seicento soggetti maratoneti, che il numero di incidenti risultava superiore del 35% nel gruppo che aveva utilizzato lo stretching prima dello sforzo fisico.

È noto, e anche alcuni studi scientifici ne parlano, che lo stretching è necessario e ottimale per migliorare il recupero; quest’ultimo è influenzato dall’irrorazione sanguigna e quindi, per un miglior recupero, si dovrebbe aumentare il drenaggio e il flusso della circolazione periferica ma, come già precedentemente citato, alcuni studi ne dimostrano una diminuzione per compressione del flusso. Dorado e Coll. in uno studio del 2004 hanno valutato il recupero rispetto a quattro lavori muscolari condotti ad alta intensità, e poi sono state comparate tre modalità di recupero: riposo, stretching e recupero attivo al 20%VO2 max. Solamente il gruppo con il recupero attivo ha migliorato le proprie performance e quindi se ne deduce che gli stiramenti non costituiscono il miglior modo per facilitare il drenaggio.

Alcuni autori hanno valutato gli effetti dello stretching post work out per la prevenzione degli indolenzimenti muscolari. È noto a tutti gli sportivi che dopo sedute di allenamento intenso si possono avere indolenzimenti muscolari, solitamente ritardati di 48 o 72 ore. Broker e Schwane, in uno studio datato, hanno valutato dopo un allenamento eccentrico del quadricipite e del tricipite surale gli stiramenti statici ma non hanno constatato nessuna attenuazione dei dolori nei tre giorni successivi rispetto agli altri gruppi di controllo. Lo stretching durante l’attività fisica ha portato a risultati contraddittori. Wiemann e altri hanno utilizzato durante sedute di potenziamento muscolare alcuni esercizi di stiramento a carico di una sola gamba; l’arto stirato risultò essere più indolenzito dell’arto di controllo. Lo stiramento, in questo caso, aggiunge microtraumi a quelli già presenti per via dello sforzo fisico.

Un uso consapevole dello stretching

Dopo questa carrellata di studi scientifici che mettono in discussione le usuali credenze applicate nello sport a tutti i livelli penso che, prima di adottare lo stretching sempre e comunque, dobbiamo porci alcuni quesiti, in relazione a quanto evidenziato ma soprattutto in relazione al nostro obiettivo: questi studi identificano comunque un effetto positivo dello stiramento in alcune discipline sportive mirate, oppure in determinati momenti della fase di preparazione e quindi lo stretching è comunque positivo. Ad esempio, è possibile collocare una seduta di stiramento muscolare al termine di un allenamento non considerandola una fase di recupero ma una parte attiva di carico del programma. Oppure, si può inserire una seduta di stretching come seduta di allenamento con la finalità di migliorare l’ampiezza articolare, conoscendo le conseguenze che comporta e quindi posizionandola all’interno del carico di lavoro, lontano dalla competizione. Penso che lo stretching rivesta una grande importanza nell’attività fisica e nella preparazione atletica ed esiste ampia letteratura a riprova del fatto che lo stretching possa aiutare a mantenere le ampiezze articolari e contrastare le retrazioni muscolari; è quindi giusto farne uso poiché dà grandi risultati per il mantenimento della postura e dell’ampiezza muscolare, messa a dura prova dagli allenamenti e dagli stress muscolari, ma bisogna essere consapevoli delle due facce della medaglia per poterlo utilizzare ancora meglio. Come abbiamo visto, è facile trovare in letteratura scientifica cose a favore di una pratica e cose contrarie alla stessa identica pratica. “Tutto è il contrario di tutto”. Si tratta a questo punto di sapere bene quali sono i nostri obiettivi, essere a conoscenza degli strumenti per poterli ottenere e ricercare la strada giusta per massimizzarne gli effetti.

“Una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta” PLATONE.

Iader Fabbri

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