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La differenza fra etichetta e contenuto

Cosa si nasconde dietro l’apparenza degli alimenti? Siamo in grado di decifrare le etichette per comprendere la vera sostanza dei prodotti?

Chi si occupa di marketing sa bene quanto sia importante quello che si chiama “packaging”, quindi la confezione; il vestito ed il modo con cui è presentato un prodotto. “I professionisti” sono consapevoli del fatto che in tanti comprano attratti da pubblicità e dalla presentazione (nonché dalla collocazione sugli scaffali).
L’essenza di un prodotto, riferito al settore alimentare, è invece rappresentato dalla sua etichetta; saperla leggere ed interpretare correttamente fornisce certamente una serie di parametri in più per scegliere il prodotto che si addice maggiormente alle nostre esigenze. Purtroppo la lettura dell’etichetta è uno sport poco praticato e, visto che la legislazione ha comunque ampi margini di miglioramento ed integrazione, ci ritroviamo in balia di una serie di dati non sempre chiaramente identificabili.

La normativa
Il governo ha emanato il D.lgs 27/01/92 n. 109 nel quale vengono riportate le specifiche che devono essere obbligatoriamente riportate sull’etichetta:
– Nome del prodotto
– Elenco degli ingredienti
– Quantitativo (peso netto / peso sgocciolato)
–Termini di scadenza
– Azienda produttrice
– Lotto di appartenenza
– Modalità di conservazione ed eventuale utilizzo.

Secondo l’attuale legislazione, è obbligatorio elencare tutti gli ingredienti contenuti in un prodotto alimentare, compresi acqua e additivi, facendoli apparire in ordine decrescente in base al peso. Inoltre è stata stilata una lista di 12 ingredienti, che costituiscono dei potenziali allergeni, che devono comparire chiaramente sulle etichette alimentari. Vi sono anche normative specifiche per l’etichettatura degli additivi, degli edulcoranti, degli aromatizzanti e degli ingredienti prodotti con organismi geneticamente modificati.
Anche gli ingredienti che hanno subito delle radiazioni devono essere propriamente elencati nell’etichetta. Le quantità degli ingredienti principali o caratteristici di un prodotto devono essere indicati generalmente come percentuale, quando l’ingrediente (o la categoria di ingredienti) appare nel nome dell’alimento, o quando è normalmente associato a quell’alimento o quando appare con particolare enfasi nell’etichetta (risaltato con delle immagini o con un disegno).

La grande famiglia degli additivi
Gli additivi non sono propriamente degli ingredienti e non hanno alcun valore nutrizionale. Sono sostanze che vengono aggiunte al cibo con lo scopo di aumentarne la stabilità (conservanti, coloranti, antiossidanti ecc.) e migliorarne l’appetibilità (aspetto, colore, aroma ecc.). Questo tipo di sostanze vengono classificate a seconda della funzione, ad esempio, antiossidante, antimicrobica svolta negli alimenti e sono identificate da un numero e da una lettera.
La lettera “E” indica che l’additivo in questione è riconosciuto e permesso in tutti i paesi dell’Unione Europea, mentre il numero che segue ne definisce la categoria ad esempio E1 = colorante, E3 = antiossidante, ecc. Proviamo a capire cosa indicano le sigle che li accompagnano:

– COLORANTI (da E100 a E180). Coloranti naturali non significa che provengono dagli ingredienti dell’alimento, ma semplicemente che si trovano in natura.
– CONSERVANTI (da E200 a E297)
– ANTIOSSIDANTI E ACIDIFICANTI (da E300 a E385)
– EMULSIONANTI E ADDENSATI (da E400 a E585)
– ESALTATORI DI SAPIDITA’ (da E620 a E640)
– AGENTI DI RIVESTIMENTO (agenti leviganti o lucidanti) (da E900 a E948).

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Alcuni additivi comunemente usati
La Carruba , spesso usata per preparare un’alternativa al cioccolato, dai semi si estrae la “gomma di carruba” usata come additivo alimentare emulsionante, stabilizzante e come agente gelificante (E410) in pasticceria, bevande e prodotti da forno. La Carragenina è un carboidrato estratto dalle alghe marine. È utilizzato come additivo gelificante, addensante e come agente stabilizzante (E407) e si può trovare nei dessert, nelle salse e nella carne lavorata.
La Gomma di Guar è un polisaccaride estratto dal seme della pianta di Guar. La gomma di Guar altamente purificata è utilizzata nei prodotti alimentari come additivo addensante e come stabilizzante (E412), in particolare lo si trova nelle gelatine, nei gelati e nelle salse per le insalate. L’Olio vegetale idrogenato è il nome generico che si riferisce all’olio vegetale che è stato convertito in stato solido o semi-solido attraverso il processo detto di Idrogenazione.
Con questo termine vengono indicati tutti i tipi di olio vegetale (olio di girasole, soia e colza). L’idrogenazione produce una struttura più stabile, anche se può portare alla formazione di “acidi grassi trans”. Meglio quindi fare attenzione alle parole “idrogenato” e “parzialmente idrogenato” nella lista degli ingredienti.
Attualmente si utilizzano prevalentemente metodi alternativi (come la interesterificazione e il frazionamento) per produrre margarina e altri grassi e oli a struttura semi-solida. Le proteine vegetali idrolizzate sono proteine di origine vegetale, che si estraggono dal mais, dalla soia o dal frumento e che vengono scomposte in aminoacidi attraverso un processo di idrolisi acida o enzimatica. Queste proteine hanno un sapore di carne e vengono utilizzate per insaporire piatti salati. La Lecitina è una sostanza molto presente nella soia, nel tuorlo d’uovo e nell’olio di girasole. Si usa principalmente come additivo alimentare emulsionante (E322) e la si ritrova nel cioccolato, nelle salse per l’insalata e nei dessert congelati.
L’Amido è un carboidrato naturale che si estrae da fonti vegetali (grano, radici, legumi, ecc.). I tipici amidi sono la destrina e la malto destrina, carboidrati di basso peso molecolare derivanti dalla degradazione dell’amido mediante idrolisi. Le destrine sono generalmente prodotte dall’amido (mais, frumento o patate) e vengono utilizzate come addensanti o per dare volume ai dolci, nei prodotti pronti all’uso (es. zuppe istantanee) e nei cibi dietetici, inoltre sono utilizzate come eccipienti.
Gli amidi modificati sono prodotti derivanti dall’amido naturale (mais, grano, patate) che è stato trattato con mezzi chimici, fisici o biologici (es. pre-cottura) per ottenere le proprietà desiderate. Questi prodotti vengono utilizzati nell’industria alimentare come addensanti, stabilizzanti, gelificanti, leganti ed emulsionanti nelle salse, nei condimenti della carne, nelle zuppe, nei piatti surgelati e nei prodotti di pasticceria. Un’altra forma di trasformazione dell’amido è la “pregelatinizzazione”, che comporta la formazione di gelatina quando si mescola l’amido con acqua fredda, come avviene nei vari dessert istantanei.

Gli edulcoranti
Possono essere divisi in due grandi categorie: i polialcoli e gli edulcoranti intensivi. I polialcoli sono “zuccheri alcolici” o carboidrati idrogenati. Sono anche noti come sostituenti dello zucchero, dolcificanti di massa o dolcificanti senza zucchero. Molti di questi composti si trovano naturalmente in diversi frutti e vegetali, ad esempio il sorbitolo si trova nella mela e nella pera. I polialcoli più comunemente utilizzati sono il sorbitolo, il mannitolo, il maltitolo, l’isomaltosio, il lactitolo, lo xylitolo, l’eritrolo. I polialcoli hanno un potere dolcificante medio, simile a quello del saccarosio. Il loro contenuto energetico è più basso rispetto a quello degli zuccheri alimentari, ma resta comunque significativo: circa 2,4 kcal/g contro 4 kcal/g dello zucchero; non favoriscono la carie ed hanno un IG più basso. I prodotti che contengono polialcoli non sono acalorici come gli edulcoranti intensivi.
Questi hanno però il vantaggio tecnologico, rispetto agli edulcoranti intensivi, di dare consistenza ai prodotti finiti, sono quindi degli agenti strutturanti, emulsionanti, addensanti, antiagglomeranti; spesso componenti delle glasse. Per questo sono presenti in tutte le gomme e caramelle “senza zucchero”. Non possono invece essere utilizzati nelle bevande. Gli edulcoranti intensivi sono presenti sia nei cosiddetti “edulcoranti da tavola” (in compresse, bustine, polvere o gocce) che nella maggior parte dei prodotti cosiddetti “senza zucchero”, “light” o “diet” . Il loro potere calorico è quasi nullo.
Poiché ne bastano piccolissime quantità, sostituire il saccarosio con queste sostanze permette di ridurre notevolmente l’apporto calorico di un alimento. Come per la maggior parte degli additivi alimentari, l’abuso di edulcoranti può provocare danni all’organismo. Pertanto è consigliabile non superare la Dose Giornaliera Ammissibile (DGA), cioè la quantità, calcolata in funzione del peso corporeo, che si può assumere quotidianamente per tutta la vita senza rischio per la salute. DGA dei 4 edulcoranti intensivi in uso corrente in Italia DGA (mg/kg peso corporeo)
Saccarina 5
Aspartame 40
Acesulfame 9
Ciclammato 11

Nell’adulto il rischio di superare la Dose Giornaliera Ammissibile esiste solo se un soggetto consuma tutti i giorni diverse categorie di alimenti che contengono lo stesso edulcorante o un unico alimento ma in quantità elevate. Questo rischio teorico è più elevato con il consumo di bevande che non con il consumo di caramelle o gomme (per via della quantità più elevata ingerita in ogni occasione di consumo).
Il rischio teorico è inoltre più elevato per la saccarina che per gli altri edulcoranti intensivi, per via della sua DGA più bassa. Nel bambino il rischio di superare la DGA è più elevato a causa del suo basso peso rispetto all’adulto. In conclusione, chi volesse fare un uso sistematico di prodotti senza zucchero deve prestare attenzione alle etichette per poterne controllare il consumo quotidiano. È importante precisare che raggiungere saltuariamente la DGA non costituisce un rischio per la salute.

Un altro settore che merita di essere meglio capito riguarda il grande businnes dei cibi integrali (che ormai sono diventati una moda irrinunciabile). L’opinione pubblica è ormai ben sensibilizzata sull’importanza salutistica del consumo di fibre; per questo sullo scaffale cerca parole magiche come “integrale”; “ai 5 cereali”, “con segale” ecc. Purtroppo oltre l’80% dei prodotti derivati da sfarinati di frumento e loro derivati (pane, pasta, biscotti e prodotti da forno) sono degli “integrali ricostruiti”.
Questi sono infatti prodotti a partire da sfarinati già raffinati a cui viene aggiunta in un secondo tempo crusca finemente rimacinata. Infatti il paradosso commerciale è che una farina teoricamente meno lavorata (appunto integrale, quindi non raffinata) dia origine ad un prodotto commerciale con un prezzo più elevato di quelli prodotti con farina bianca. Aggiungiamo a questo che le fibre aggiunte a prodotti già raffinati hanno scarsa efficacia per la protezione contro i picchi glicemici ed insulinemici. Gli integrali veri sono quelli denominati “a macinazione tutto corpo” o “a grana grossa”.

Cosa dice la legge
Purtroppo manca una legislazione dettagliata; quella vigente (legge n°580 del 4 Luglio 1967 e n°187 del 19 febbraio 2001) consente liberamente la definizione di “integrali” anche per quei cibi a cui la crusca è stata aggiunta in un secondo tempo; infatti il solo vincolo è quello di un tasso di ceneri (sali minerali inceneriti) contenuto tra 1,30 e 1,80 p./100 p. di sostanza secca. Sarebbe invece auspicabile che la legislazione richiedesse per gli sfarinati integrali espressamente la produzione diretta a grana grossa ed il divieto di usare sfarinati già raffinati ricostituiti con l’aggiunta di crusca.
Un ulteriore dato che potrebbe essere utile (non solo per distinguere gli integrali veri ma anche per tutti gli altri alimenti) sarebbe arricchire l’obbligo di etichetta con l’Indice Glicemico (IG) ed il Carico Glicemico (CG), quindi un indice qualitativo e quantitativo dell’impatto metabolico/glicemico di quel determinato alimento. Un pane di farina bianca raffinata presenta un IG mediamente di 70, mentre un pane di farina scura di “falso integrale” presenta un IG quasi uguale (IG 68), si ha invece che un pane di farina integrale autentica presenta un IG non superiore a 40.

Suggerimenti utili
Un modo, se volete grossolano ma pragmatico per farsi un’idea del tipo di elementi base che sono stati usati per produrre il cibo “integrale” che stiamo valutando, potrebbe essere quello di analizzarne il colore e le sfumature. Il pane veramente integrale deve essere uniformemente bruno con qualche evidenza di parti più grossolane e più scure; se invece appare sostanzialmente chiaro e solo con punteggiamenti di scuro potrebbe essere un “integrale ricostruito”.
Impariamo comunque a leggere bene le etichette, logico che al di là del tipo di farina utilizzata, se nei valori nutrizionali il contenuto di fibra grezza è solo dell’1,5-2% siamo veramente ai minimi, si deve puntare a % del 7-10. Ben vengano le addizioni con semi di lino, di sesamo ecc. Diffidate invece dall’aggiunta di eccessivi grassi (che permettono di avere un prodotto fragrante e morbido per lungo tempo); non credo che da pane e crakers si cerchi l’apporto di grassi (soprattutto se animali).

I succhi di frutta

Un altro settore che mi premeva analizzare è quello dei succhi e derivati di frutta. Il succo di frutta al 100% è ottenuto per spremitura diretta del frutto sano e maturo. Si chiama anche “diretto” o “puro”. Non contiene acqua aggiunta, né zucchero, né altri additivi. Con zucchero aggiunto sino all’1,5% il prodotto è ancora succo di frutta, ma al posto della dicitura 100% si indica “zuccherato” o “con aggiunta di zuccheri”.
I composti che si desidera ritrovare nei succhi sono: zuccheri, sostanze aromatiche, vitamina C, beta-carotene, pectine. Il succo al 100% (quello che vi consiglio) è sottoposto a pastorizzazione veloce a temperatura di 85-95°C, per 10-12 secondi, e a rapido raffreddamento; questo trattamento consente di rispettare le proprietà organolettiche e nutrizionali del prodotto, di eliminare i microrganismi e inattivare gli enzimi che potrebbero alterare il succo.
Abbiamo poi il concentrato di frutta che si ottiene mediante evaporazione sotto vuoto o mediante congelamento; il contenuto di zucchero di tali succhi è intorno al 65%. Gli sciroppi sono i succhi di frutta stabilizzati ai fini della conservabilità, con aggiunta di zucchero al 60-70%. Il nettare si ottiene invece da purea o polpa di frutta (25-45%) che, dopo essere stata filtrata e centrifugata, viene diluita in acqua e addizionata di zucchero (o dolcificanti) e vitamina C. A differenza dei succhi di frutta freschi, i nettari di frutta hanno maggior contenuto energetico ma minore contenuto vitaminico e minerale. Le bibite analcoliche alla frutta (dette anche bevande “piatte”) sono le classiche aranciate, le limonate e simili, che contengono soltanto il 12% di succo di frutta. Possono essere addizionate di saccarosio o edulcorate con dolcificanti di sintesi.
Sembra strano ma solo ultimamente si inizia ad acquisire l’accortezza di leggere con attenzione l’etichetta analizzando la % di succo di frutta, la presenza di zucchero, il contenuto calorico e vitaminico . Alla fine di questa lunga (ma comunque estremamente riduttiva) esposizione, sono certo che i dubbi sulla qualità dell’ultima spesa acquistata sia venuto a molti; del resto quelle della produzione industriale con conseguente necessità di conservazione, stoccaggio, palatabilità sono esigenze con le quali non possiamo evitare di confrontarci. Starà a noi e alla diffusione che possiamo fare della corretta informazione creare il giusto trend che possa guidare le industrie all’adozione delle migliori metodiche e alla selezione delle materie prime di maggiore qualità.

Marco Neri

Fonte www.lapalestra.it

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